Pink tax: due parole che dovremmo tutti conoscere. Indicano un fenomeno ancora troppo diffuso, ma spesso ignorato: i prodotti e servizi destinati alle donne costano di più rispetto agli equivalenti maschili, senza una reale giustificazione.
Acquistare un deodorante, un rasoio o una semplice penna rosa potrebbe sembrare una scelta personale. Eppure, dietro questi articoli “femminili” si nasconde una strategia di marketing che finisce per penalizzare proprio il pubblico a cui si rivolge.
Che cos’è la Pink Tax?
Il termine “pink tax” non indica una tassa ufficiale, bensì una forma di pricing discriminatorio. Si tratta della tendenza a prezzare più alto i prodotti e i servizi rivolti alle donne rispetto agli equivalenti destinati agli uomini. La differenza non è dovuta a una qualità superiore o a costi di produzione maggiori, ma spesso si riduce a semplici scelte di marketing: un colore diverso, un packaging più “delicato” o una comunicazione più mirata.
Prodotti diversi, prezzo ingiustificato
Diversi studi internazionali hanno dimostrato che prodotti come rasoi, shampoo, abbigliamento o giocattoli vengono regolarmente venduti a prezzi più alti nella loro versione “rosa”. Un’indagine del Department of Consumer Affairs di New York, ad esempio, ha rilevato che i prodotti femminili possono arrivare a costare fino al 13% in più rispetto alle controparti maschili.
Anche in Italia il fenomeno è presente, sebbene se ne parli ancora poco. Basta osservare gli scaffali di un supermercato o confrontare i listini di servizi come parrucchieri o lavanderie per notare come, spesso, alle donne venga applicato un sovrapprezzo.
Le radici culturali del fenomeno
La pink tax affonda le sue radici in dinamiche culturali profonde. Per anni il marketing ha alimentato narrazioni secondo cui il target femminile sarebbe più attento all’estetica, più incline alla spesa per la cura personale e più ricettivo a determinati stimoli visivi. Questo ha legittimato pratiche commerciali che, nel tempo, si sono normalizzate.
Oggi, però, molte consumatrici sono sempre più consapevoli e iniziano a interrogarsi su queste disparità. Perché un rasoio rosa dovrebbe costare più di uno blu, se svolge esattamente la stessa funzione?
Verso un consumo consapevole
Fortunatamente, qualcosa sta cambiando. In diversi Paesi si discute di leggi contro la discriminazione di prezzo basata sul genere, mentre campagne social e attivismo digitale stanno contribuendo a portare il tema sotto i riflettori.
Come consumatori, possiamo fare la nostra parte: confrontare i prezzi, leggere con attenzione le etichette, scegliere alternative unisex e supportare quei brand che adottano politiche di prezzo trasparenti ed eque.
La pink tax è un esempio concreto di come il marketing, se non vigilato, possa diventare terreno fertile per disparità silenziose ma sistemiche. Parlare di questo fenomeno è il primo passo per riconoscerlo, denunciarlo e favorire un mercato più giusto per tutti. Perché, in fondo, il colore di un prodotto non dovrebbe mai determinare il suo prezzo — e tantomeno il valore di chi lo utilizza.